Giovani, maturi e sofisticati. 3 stadi di evoluzione nell’approccio dei Brand all’Influencer Marketing

Le novità spaventano. Le cose che non conosciamo ci rendono insicuri, cauti, ma anche curiosi di provare. Quando ci addentriamo in territori sconosciuti – cambiamo lavoro, città, partner – siamo travolti da un mix di sentimenti che in molti casi ci porta a procedere con i piedi di piombo. La nascita di nuove forme di marketing innesca nelle aziende questo stesso senso di cauta aspettativa. In ballo ci sono nuove opportunità, ma il timore è di andare alle cieca, privi di punti fermi.

L’adozione ancora incerta di Facebook, Instagram e LinkedIn nelle aziende, per esempio, ha dimostrato quanto sia conflittuale il rapporto di queste con i processi innovativi digitali: incertezza e sospetto si alternano alla curiosità di sapere se “funzionano davvero”. Così è stato anche per una delle ultime novità nel marketing digitale: l’Influencer Marketing. Come le innovazioni precedenti, anche questa nuova forma di marketing risente dei timori dei Brand sulla sua reale efficacia e su come inserirla all’interno di una più ampia strategia di comunicazione.

Uno studio di Koniqa realizzato per Buzzoole sulla Customer Journey delle aziende fa luce proprio sull’approccio dei Brand che scelgono di investire in questo nuovo ramo del Digital. Un approccio che si rivela graduale, evolutivo, che vede l’azienda a poco a poco sempre più coinvolta nella gestione diretta degli Influencer. 

 

Aziende e Influencer Marketing: un percorso a 3 stadi

Quando si approccia all’Influencer Marketing per la prima volta, il Brand è cauto. La prima fase del suo percorso evolutivo è esplorativa. C’è interesse, curiosità, ma non si è certi che l’investimento darà risultati. In azienda mancano le competenze e così il capo della comunicazione o delle Digital PR si rivolge all’esterno: all’agenzia. L’azienda in questa fase iniziale – identificata per questo col termine Young cui appartiene più della metà degli intervistati – non partecipa attivamente al processo di costruzione di un’attività di Influencer Marketing, ma delega tutto all’agenzia per un servizio chiavi in mano. Nella selezione del partner esterno, considera come fattore premiante l’uso di tecnologia, algoritmi e piattaforme.

Una volta toccato con mano “lo strumento”, l’azienda è più padrona della situazione, il suo livello di conoscenza aumenta e passa così allo stadio successivo, quello della maturità. I Brand nella fase Mature – che rappresentano il 24% degli intervistati – sono più coinvolti nell’attività di Influencer Marketing, rispetto alla fase Young. Il ruolo non è più passivo, ma di azione. L’azienda ora dirige, supervisiona e coordina agenzia di comunicazione, centro media, agenzia PR, ma si fa consigliare. Il Centro Media propone le campagne, l’agenzia PR quali Influencer contattare, l’agenzia di comunicazione verifica che questi ultimi rispettino i valori e lo stile di comunicazione del Brand. 

L’ultimo stadio – chiamato Sophisticated e che rappresenta il 23% degli intervistati – è quello che vede il Brand pienamente coinvolto nell’attività di Influencer Marketing. Gestisce tutto, dalla strategia all’operatività, tanto da riorganizzarsi internamente per poter comunicare e indirizzare direttamente gli Influencer. I partner esterni, in questo stadio, sono chiamati ad affiancare il Brand nelle fasi più delicate, ma l’attività di Influencer Marketing rientra ormai a pieno titolo nella più ampia strategia di comunicazione decisa e attuata dal Brand.  

Tratto comune a tutte le fasi è la necessità di trovare Influencer che siano coerenti con l’immagine del Brand (Brand Affinity) e che possano rappresentarlo nei valori, nei messaggi, nella stile.

Nonostante esista ancora una quota consistente di Brand scettici, l’Influencer Marketing può essere una leva strategica, a condizione che sia connesso con la reason to believe del Brand o del prodotto, con la promessa al cliente. 
Solo così l’influencer marketing entra nel processo di persuasione, facendo emergere gli ingredienti distintivi ed attivando la dimensione esperenziale del prodotto, con modalità che altri mezzi non potrebbero sostenere con altrettanto impatto e coinvolgimento. 

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*Nota metodologica – I dati provengono da una ricerca integrata quali-quantitativa che ha coinvolto opinion leader della comunicazione corporate e circa 300 decision maker di aziende con oltre 250 dipendenti, attive in Italia. 

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