Casa o immobile? Comprendere i bisogni profondi alla base dei consumi, non per vendere ma per generare valore

Vi sarà capitato di vendere o affittare casa. Provate a ricordare le motivazioni di quella scelta e le emozioni che avete provato. Quasi certamente è stata una decisione sofferta e un viaggio tormentato. Probabilmente vi tornerà in mente solo l’esigenza concreta: avevate bisogno di più spazio – o forse di meno spazio -, avete cambiato città o quartiere per motivi di lavoro. Per quanto solida e inappuntabile, però, quella decisione così razionale non poteva avere la meglio sulle vostre emozioni. Dovevate cambiare la vostra abitazione, ma forse avreste preferito evitarlo, perché abbandonare la propria casa per trasferirsi altrove è doloroso.

Mi è capitato di parlarne qualche settimana fa con i manager di un’agenzia, che opera nel settore degli immobili di prestigio, discutendo di alcune evidenze emerse dalla ricerca di mercato sul processo di acquisto e di vendita dei cosiddetti “immobili”.

Immobili o case?

Capire la differenza fra i due termini, per quanto sottile, è fondamentale per comprendere quali sono le vere motivazioni dei clienti che acquistano o affittano, e non per vendere ma per generare valore. Perché per noi esseri umani la casa è molto di più dei metri quadri calpestabili, della classe energetica, della disposizione delle stanze.

La casa è una o più dimensioni, uno stato d’animo, un modo di essere o di percepire un determinato ambiente, un vivere, un relazionarsi, un condividere un certo contesto. La casa è un nido che ci protegge, che lascia fuori ciò che non controlliamo. Rappresenta il nostro bisogno atavico di avere un luogo sicuro in cui rifugiarci dal resto del mondo. La casa è equilibrio, è ciclo di eterno ritorno giorno-notte, buio-luce, sonno-veglia; rappresenta il nostro bisogno di essere in armonia con i cicli della natura.

Lasciare la propria casa per vivere altrove, o lasciare che altri vivano negli spazi che fino a poco tempo prima erano solo nostri, è traumatico.

Quindi vendere e acquistare casa è una decisione molto più legata ai bisogni profondi delle persone, anche se si manifesta con un “linguaggio razionale”.

Vale per moltissime scelte d’acquisto che facciamo ogni giorno e trascurare le motivazioni antropologiche alla base di queste decisioni  significa trascurare le vere motivazioni che portano le persone a scegliere un’azienda piuttosto che un’altra. Compromettendo il rapporto di fiducia tra cliente e Marca.

I Brand, grandi e piccoli, non possono più permettersi di evitare lo studio dei bisogni profondi dei clienti, perché oggi le persone scelgono di acquistare dalle imprese che condividono i loro valori e che sono in grado di dimostrarlo con i fatti.

 

Le Marche non appartengono più alle aziende, ma alla comunità

Valori, bisogni profondi, identificazione. Sono queste le motivazioni che ci spingono a prendere decisioni e a scegliere cosa comprare e da chi.

Lo conferma un recente studio di Accenture (To affinity and beyond. From me to we, the rise of the purpose-led brand) che sottolinea il ruolo che i Brand hanno oggi nella nostra vita, che va ben oltre  le scelte di acquisto.
Siamo le marche che scegliamo.

Compriamo  dalle aziende in cui ci riconosciamo.

Prezzo, qualità ed esperienza d’acquisto sono importanti, ma non bastano più.

Sono soprattutto le nuove generazioni – Millennials e Generazione Z – ad attribuire alle aziende una responsabilità che va oltre il semplice scambio di beni e servizi.

Ecco come tecnologia e digitalizzazione hanno cambiato le cose

Il web e la tecnologia hanno dato un nuovo potere agli individui: il potere di affermare e difendere senza intermediazioni le proprie opinioni su larga scala e di fare pressioni sulle Grandi Marche perché prendano una posizione rispetto a temi sociali, ambientali, politici. Quindi i Brand sono chiamati ad agire. Devono dimostrare come intendono dare il loro contributo etico, trasparente e positivo alla società.

Le persone scelgono di acquistare quando sono certe che il Brand condivide i loro valori, di conseguenza tutto deve essere coerente, pena la totale disaffezione. Il Brand che delude è condannato a perdere clienti, rileva Accenture: il 47% si discosta dall’azienda e il 17% di questi non torna più.

 

Cosa è cambiato?

Prima il rapporto tra individuo e consumi era indicatore di status, ora è invece innanzitutto ricerca di identità e di conseguenza espressione della propria personalità. Le aziende non sono più di esclusiva proprietà degli azionisti, ma sono all’interno di un ecosistema e quindi appartengono ad una comunità di stakeholders che comprende anche i dipendenti e i clienti.

Abbiamo due grandi livelli di sfida per i Brand: ci sono quelli che costruiscono identità e quelli che permettono di ritrovarla.

Alla prima categoria, appartengono le grandi marche globali, che però non sono marche Identitarie. Sono grandi scaffali, sono come finestre sul mondo, sono degli aggregatori. Proietto la mia identità e cerco tra gli scaffali per confermare “me stesso”.

Alla seconda, appartengono quei marchi, specie nel settore alimentare, che ci permettono di ritrovare le nostre radici, la nostra storia, il nostro territorio. Sono veicoli per un’identità ritrovata.

Se la Marca non è in uno di questi piani, semplicemente non esiste.

Clienti che fanno richieste, scelgono cosa acquistare, sviluppano nuovi prodotti e servizi insieme all’azienda e migliorano costantemente l’esperienza del Brand. Sono i primi promotori della Marca, ma anche i primi ad abbandonarla se questa non più è in linea con i loro valori e non comprende le loro reali motivazioni di acquisto.

Prima di concentrarsi sulle statistiche, fare benchmarking, studiare il target, dunque, per le Aziende è importante riflettere sulla propria identità e sullo scopo per cui sono nate, senza avere la pretesa di accontentare tutti.

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